Siamo ciò che leggiamo?

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La scorsa settimana sono stata ospite in una scuola superiore di Formia.
L’incontro con alunni/e ed insegnanti aveva come oggetto le forme dei linguaggi che ancora oggi adoperiamo nella didattica quotidianamente. Quale forme di racconto utilizziamo, dunque, per coinvolgere le giovani generazioni in classe?

Ho pensato che, per l’occasione, fosse interessante parlare di fronte ai ragazzi e alle ragazze di ciò che più mi appassiona, ovvero di narrazione filosofica. L’obiettivo era quello di provare a tracciare una linea che avesse come oggetto non solo i filosofi e le donne (filosofe), ma anche il contesto culturale. Compreso il tessuto delle relazioni all’interno del quale si stabilivano i rapporti di potere.

Scrive in proposito Adriana Cavarero nel suo libro Nonostante Platone:

«la cultura occidentale è ricca di figure nelle quali l’ordine simbolico, di cui essa è intessuta, si autorappresenta: a cominciare dal materiale mitico per poi proseguire, attraverso i più disparati documenti letterari, sino al moderno. (…) La figura ha appunto il potere di concentrare in sé, in una sorta di allusività narrante ed immediata, di incarnazione paradigmatica e viva, l’ordine simbolico che la informa e che in lei prende un nome (un nome proprio) significante. Certo questo ordine simbolico trova altri linguaggi per dirsi, ad esempio il trattato filosofico o il testo di legge per rimanere nel campo della scrittura ma l’efficacia della figura è incomparabile per la sua forza comunicativa e per il suo effetto di autoriconoscimento evocato»

Per essere più chiara: la figura del filosofo descritta nei testi non rappresenta solo un ruolo sociale, ma incarna in sé un intero ordine simbolico riconoscibile con il maschile e associato a precise qualità e facoltà umane; ad esempio, il Logos tutto ciò che è riconducibile all’attività razionale. La figura è perciò portatrice di una potenza narrativa e immaginativa (la potenza dell’imago) enorme la cui sede di riconoscimento sta proprio all’interno di una cornice sociale ben precisa, in questo caso quella patriarcale.

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Lascia che sia l’arte a dirlo

Les ballets de Trockadero de Monte Carlo

Les ballets de Trockadero de Monte Carlo

Ho scritto spesso, qui, di quanto polverosa e noiosa reputi buona parte della manualistica sulla storia della filosofia.
Ricordo – come fosse ieri – che durante la preparazione della tesi, chiesi ad una mia docente: «non c’è davvero nessuno, nessun filosofo o letterato che abbia affrontato, in Italia, il problema della narrazione della filosofia? Di come vengono scritti i manuali?». La risposta fu lapidaria, o quasi: «eh, signorina, ma questa è la tradizione».

Nulla di cui stupirsi, da un punto di vista meramente accademico; in fondo, la storia della filosofia (cioè, in soldoni, la narrazione che della filosofia si è scelto di dare sotto forma di compendio) è nata per raccogliere l’eredità del pensiero filosofico. Negli ambienti accademici – non sempre e non dappertutto – pensare quindi al “target” – cioè a chi sono destinati i manuali – viene considerata pratica futile. Insomma, è un po’ come se il fruitore (lo/a studente/essa) fosse stato volutamente rimosso, seppur ci si muova all’interno di un orizzonte utilitaristico, in nome della Tradizione. Espressione massima, quest’ultima, dell’autoreferenzialismo.
Per fortuna esempi diversi e coraggiosi di sperimentalismo, su questo front,e sono giunti da una giovane ricercatrice dell’Università di Firenze, Irene Biemmi. I suoi lavori coinvolgono i libri delle scuole elementari e parte della narrativa infantile ed indagano la rappresentazione dei generi e gli stereotipi utilizzati per rivolgersi alle bambine piuttosto che ai bambini. Donna coraggiosa, Irene; c’è bisogno di osare e di sperimentare, soprattutto a partire dagli studi di generi.

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Attenzione all’ “educazione sentimentale”

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Il 7 agosto dello scorso anno è stato presentato, dalla deputata Celestina Costantino (SEL) e altri suoi colleghi, una proposta di legge intitolata “Introduzione dell’insegnamento dell’educazione sentimentale nelle scuole del primo e del secondo ciclo dell’istruzione”. L’espressione “educazione sentimentale” era già comparsa in qualche articolo a proposito di femminicidi, e poi in altri articoli esplicativi; ci sono state delle critiche a questo possibile modo di intepretare il ruolo della scuola riguardo lo studio dei problemi di genere. Leggo però nel testo della proposta qualcosa che non mi convince.

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Educazione sessuale nelle scuole – intervista a Stefania Girelli

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Apriamo con una riflessione generale e importante a mio parere: tutti si occupano di educazione sessuale, tutti gli adulti che sono in relazione con i bambini e bambine o con i ragazzi e ragazze. Intesa in senso ampio, genitori e insegnanti fanno sempre ogni giorno educazione sessuale, al genere, alla relazione.
Molto spesso si ritiene che educazione sessuale sia solo educazione al rapporto sessuale o informazione concernente la contraccezione o alla prevenzione delle malattie sessualmente trasmesse. E’ dagli adulti più prossimi che si impara, si apprende, anche attraverso i silenzi e le famose parole non dette, cosa vuole dire, cosa è affettività, amore, sessualità, piacere, relazione, rispetto, responsabilità.

La “nostra” Stefania Girelli è intervistata da genitoricrescono.com 🙂

Another brick in the wall. Sulla filosofia che non sa parlar d’Amore.

I manuali di storia della filosofia nuocciono gravemente al pensiero critico, ma rinforzano le braccia. Per capire a cosa mi sto riferendo, basta aprire un qualsiasi manuale di filosofia. Dove si stenta a capire quale sia l’oggetto reale della narrazione.

Di cosa si parla nei manuali? Cosa ci raccontano, la storia di chi?
Perché di filosofiA, nemmeno l’ombra.

Così due anni fa, mentre buttavo giù la bozza del progetto della “filosofiA maschiA”, mi domandavo che senso avessero tutti questi mattoni; armi proprie di un’educazione normativa e ingessata, priva di ogni fascinazione. Anche erotica.
Soprattutto erotica.

ANOTHER BRICK IN THE WALL!

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Ma che scuola!, la scuola dei poveri

scuolaMentre in tanti s’affannano a parlare di primarie, decadenze felici, falchi, colombe e voliere, a me preme di nuovo parlare di Scuola Pubblica.

Avrete sicuramente letto o sentito parlare, nei giorni scorsi, dei dati diffusi dall’ultima indagine OCSE-PISA 2012 circa i risultati dei quindicenni italiani in matematica, scienze e lettura. Bé, non ve prendete pena; perché siamo sempre più messi male. Ci spetta perfino il primo posto come “marinatori” della scuola.

In breve: dai dati emerge che la scuola pubblica italiana resta – anche per quest’anno –  il fanalino di coda dell’Europa. Trascinata esclusivamente dal Nord-Est, ultimo baluardo di eccellenza soprattutto in matematica.

Mi piacerebbe approfittare di questa ennesima occasione persa, per capire – ad esempio – come mai all’indomani dell’approvazione dell’ultimo DL Scuola (Settembre 2013) non si siano menzionati questi dati. Si pensò, piuttosto, a sbandierare pallidi investimenti smerciandoli come sostanziale cambio di rotta, rispetto al passato. Nel decreto scuola vengono destinati fondi per il potenziamento della rete wireless; cioè, della serie, “il Titanic sta affondando” – se non è già affondato – ma ci dicono che” l’orchestra suona ancora”. Senti che bella musica!

Mi sono chiesta, dunque; ma perché esistono laboratori multimediali o informatici in tutti gli istituti, tali da necessitare un potenziamento della rete? Esistono corsi curricolari di alfabetizzazione ai media o educazione ai nuovi media per cui occorre una connessione veloce?

In una scuola dove manca di tutto, dalle sedie ai banchi, ai gessetti colorati, ai riscaldamenti, all’acqua potabile, dove spesso l’intonaco cade a pezzi, non vengono rispettate le regole sulla sicurezza nei posti di lavoro/pubblici, si passano ore in edifici pericolanti e/o non a norma antisismica, si parla di potenziamento per qualcosa che dovrebbe esistere, ma non c’è.
Di quello che c’è, invece, non si parla.

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Quando si dovrebbe cominciare…

conlasuadonna

…a parlare di sessismo nelle scuole?  A fare educazione sessuale fin da subito?

Qui sopra, una foto che gira su facebook. Questo il sito dell’ente, che sicuramente fa un onesto e utilissimo lavoro sul territorio. E che si propone ai ragazzi (maschi) sostanzialmente in questo modo qui:

“se dopo le medie vieni da noi, studierai meno e alla fine avrai un reddito sicuro e LA TUA DONNA”.

Non credo che servano altri commenti.

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“Si può fare!”

sipuofare

L’educazione di genere nelle scuole italiane non è un miracolo, un’assurdità, una cosa impossibile: si può fare!

Nella nostra pagina Risorse on line abbiamo trovato link a materiali di vario tipo che raccontano esperienze e possibilità per gli studi di genere nelle scuole, per una filosofia finalmente fuori dallo schema narrativo usato finora.

Un ulteriore supporto è la Biblioteca.

Qui sotto l’articolo di oggi su Repubblica che racconta il lavoro de Il corpo delle donne e del loro progetto – e tante altre cose.

Fiammetta e Lorenzo

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Lo sciopero delle donne. L’appello per la manifestazione del 25 Novembre.

All’inizio del mese di Luglio, pubblicammo qui l’iniziativa promossa da donne e giornaliste freelances –   facenti parte di GIULIA, libera associazione delle giornaliste – sulla delicata, quanto allarmante, questione dei femminicidi in Italia.  Ad oggi, contiamo già 63 vittime dall’inizio del 2013 (fonte UDI). «Una strage di donne che non si ferma, che non conosce crisi», citando testualmente Riccardo Iacona, dal suo ultimo libro Se Questi Sono gli Uomini. La vibrante preoccupazione per il continuo dilagare del fenomeno, ha spinto ad aderire a tale iniziativa la CGIL di Susanna Camusso (qui il comunicato ufficiale CGIL).Manifestazione_contro_violenza_donne

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Le parole che a scuola non esistono

leparoleche Ho raccolto qui di seguito qualche citazione. Vi invito a riflettere sul fatto che in nessuna scuola queste parole saranno mai conosciute, lette o studiate – a parte le solite poche e fortunate eccezioni. Sono di autori fuori da qualunque programma scolastico, oppure riguardano temi e “materie” di cui la scuola non può o non vuole occuparsi in maniera adeguata alla loro rilevanza. Ci sarà sempre un aggettivo adatto a tenerle fuori dal luogo dove servirebbero di più, e dove sono richieste di più. Oltre a queste resistenze “di sistema”, va aggiunto il conservatorismo miope di persone – di tutte le età e di tutte le provenienze scolastiche – che abbiamo personalmente registrato e conosciuto, le quali reputano alcuni autori o argomenti di scarsa importanza culturale (evitando di sostenere questa opinione con altro che non sia quel racconto che si autoconferisce quella stessa importanza culturale).
La mia, ovviamente, è una scelta del tutto personale che non vuole essere altro che un esempio.

Non ci accade mai di sentirci esistere prima di aver già preso contatto con gli altri, e la nostra riflessione è sempre un ritorno a noi stessi, che peraltro deve molto alla frequentazione degli altri. Anche un neonato di qualche mese può facilmente distinguere la benevolenza, la collera, la paura sul volto altrui, in uno stadio della sua esistenza in cui potrebbe aver imparato dall’esame del proprio corpo i segni fisici di queste emozioni. E’ dunque il corpo altrui, nel suo gesticolare, ad apparirgli immediatamente investito di un significato emozionale. Egli impara a conoscere lo spirito sia come comportamento visibile, sia nell’intimità del proprio spirito. E lo stesso l’adulto scopre nella propria vita quello che la cultura, l’insegnamento, i libri, la tradizione gli hanno insegnato a vedervi. Il contatto di noi stessi con noi stessi si compie sempre attraverso una cultura, o almeno attraverso un linguaggio che abbiamo ricevuto da fuori e che ci orienta nella conoscenza di noi stessi. Sebbene il puro sé, lo spirito, senza strumenti e senza storia, valga come istanza critica da opporre alla pura e semplice intrusione delle idee che ci vengono suggerite dall’ambiente, si compie nella libertà effettiva solo per mezzo dello strumento del linguaggio, partecipando alla vita del mondo. (M. Merleau-Ponty)

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