Il corpo in pratica: a dialogo con Ilaria Angelelli

All’indomani della riflessione sul corpo proposta qui da Stefania Girelli nel suo articolo di qualche settimana fa, mi sono detta di voler proseguire in quella direzione provando – se possibile – a cambiare prospettiva per permettermi/vi di riflettere ancora sulla imponente e importante questione del corpo.  Così, a partire dalla mia esperienza personale, avendo maturato e coltivato in anni di agonismo un rapporto conoscitivo del mio corpo come mezzo per raggiungere un risultato collettivo (oltre alla prestazione personale), propongo ora un esempio altro di uso ed impiego del corpo femminile: quello sportivo professionistico. Mi sembra interessante osservare da vicino e provare a comprendere questo “modello di corporeità”, soprattutto alla luce degli importanti risultati Olimpici raggiunti da molte atlete italiane, in molteplici discipline. Qual’è, dunque, il rapporto che con il corpo si instaura quando si pratica uno sport, specie se si tratta di uno sport di squadra? 

Il corpo, strumento di contatto con altri oggetti e altri corpi, tocca e viene toccato nello sport di squadra; disciplinato e lasciato andare attraverso un flusso di conoscenza che concerne movimento e tecnica, pensiero e azione fisica. Quale grado di consapevolezza – oltre che di automatismo – presuppone tale flusso? Mi riviene alla mente un piccolo passo dell’ultimo romanzo di Daniel Pennac, “Storia di un corpo”, nel quale l’autore scrive: «Tutto il corpo dispiega le ali. I piedi, le mani ti strappano alla tua condizione. Con che rapidità si afferra la presa! Com’è preciso il gesto! Non è tanto il fatto di salire, non è alpinismo (…) Dove siamo? Né in terra né in cielo, siamo nel cuore dell’esplosione».

Sono molto felice di dare spazio, sull’argomento, ad una voce nuova: quella di Ilaria Angelelli, giocatrice di serie A della angelelli1pallavolo italiana, classe 1986. Ho chiesto ad Ilaria di rispondere ad alcune domande circa il suo rapporto con il corpo e l’importanza che questo assume per una professionista del volley come lei. Ci spiega, qui di seguito, il suo punto di vista ed il suo sentire a riguardo. Buona lettura a tutte e tutti.

Fiammetta.

Ilaria, puoi dirci cosa rappresenta il corpo per un’atleta professionista e come sei abituata a gestirlo e sentirlo?

Lo strumento principale nello sport agonistico è proprio il corpo; che viene curato e salvaguardato costantemente. Negli anni ho giocato in tutte le categorie e man mano che salivo, aumentavano le ore di palestra e, in modo direttamente proporzionale, la conoscenza del mio corpo e delle dinamiche di cui dovevo tenere conto per ottenere il massimo dalla prestazione. Gli allenamenti ci sono tutti i giorni, mattina e pomeriggio, salvo un giorno di riposo. Il nostro corpo ci invia segnali precisi che una volta interpretati ti aiutano a gestire al meglio anche la fase di allenamento. Sai quando gestirti nella fatica e nelle energie  o quando invece spingere al massimo.

Questo implica uno stress fisico e mentale che necessita di una gestione accurata sotto ogni aspetto; dal dormire il giusto al mangiare sano. Nel momento in cui senti che questo ti porta benessere effettivo, non solo in campo ma nella vita, questo modo di vivere diventa abitudine, e non più sacrificio.

Qual’è il tuo rapporto con il corpo e come lo sport ti ha aiutata a conoscerlo ed a coltivare il rapporto con esso?

Tutto ciò che fai, mangi, e addirittura pensi nell’arco della giornata, sia nelle ore di riposo che in quelle di allenamento, influisce sulla tua forma fisica. Se ha pensieri negativi ti sentirai stanca, se hai ricevuto una bella notizia avrai energie per fare cento allenamenti.  A Torino avevamo il Mental Coach che ci insegnò a gestire le energie, soprattutto quelle fisiche nel pre-partita, affinché la tensione non ci facesse arrivare già stanche al riscaldamento.  Sul piano  puramente fisico, invece,  il lavoro fatto di prevenzione con pesi ed elastici, associato ad accortezze post allenamento – come mettere il ghiaccio o fare un bagno caldo – ti permettono di recuperare meglio e prima la stanchezza e insegnano a prenderti cura del tuo corpo con costanza ascoltandoti nel modo migliore. Azioni percepite come noiose e ripetitive a volte, ma che poi ti permettono di impegnare il tempo nel riprendere contatto con sé stessi.

Quanto lo sport ti ha aiutato a conoscere i limiti del tuo corpo e a superarli?

Sono alta 170 cm e questo nella pallavolo non mi ha reso le cose semplicissime.  Nella vita quotidiana ovviamente non sono bassa, ma dato che la rete è uguale per tutte le giocatrici, e la media di quest’ultime almeno 1 metro e 80, in questo sport non sono facilitata.  Facendola breve, non ricordo neanche più l’ultima volta che ho pensato come ciò potesse risultare una complicazione per me e la mia carriera. Certo è stato difficile superare questo limite; quando navigavo nella serie B pensavo ancora che la mia altezza non mi avrebbe permesso l’approdo in serie A. Era una sorta di scusa nella mia testa, probabilmente, che mi impediva di guardare oltre. Poi, quando ho cominciato a giocare nei campi della massima serie, ho iniziato a lavorare su me stessa e sui limiti del mio corpo in modo completamente diverso; ho capito che potevo lavorare sull’elevazione, sulla resistenza e potevo fare la differenza in altri fondamentali. Era inutile fossilizzarmi sulla impossibilità di fare un muro in più. Non potevo cambiare quella condizione fisica (l’altezza), ma potevo affinare altre abilità. Una frase a cui ho sempre fatto riferimento è tratta dal libro Scoiattoli e tacchini di Gian Paolo Montali, famoso allenatore nel mondo del volley: «E’ possibile insegnare a un tacchino a salire sulla cima di un albero, ma per questo lavoro preferirei assumere uno scoiattolo». Dobbiamo ottimizzare ciò che abbiamo.

Come pensi e senti il tuo corpo durante il gioco, in relazione alle altre compagne e agli altri corpi che gravitano attorno alla squadra?

Il corpo ha un ruolo fondamentale nel rapporto con le altre e gli altri, in quanto “trasmettitore” di informazioni e di emozioni. Da una parte, c’è una distanza tra allenatore e giocatrice o tra  giocatori che, aggiunta alla presenza degli avversarsi, costringe ad una comunicazione affidata alla gestualità delle mani, legata ad un linguaggio concordato durante la settimana di allenamento, dove si studia la tattica. In pochi gesti si celano giorni e giorni di lavoro, dai quali dipendono scelte fondamentali nella costruzione del gioco e della vittoria.

Dall’altra parte, c’è un ruolo comunicativo strettamente legato al lato emozionale. Dopo ogni azione, c’è un abbraccio collettivo o specifico tra due persone, protagoniste del punto in questione che condividono in un dato momento una situazione simile. La pallavolo non è uno sport di contatto con l’avversario, ma di contatto puro. Ed è quello più vero, più vero. Quello della condivisione. In campo, cerco molto il contatto con l’altra, in modo da caricare me stessa e le altre. Più il cerchio tra le giocatrici è stretto – dopo un punto – più forte è la loro unione. I corpi sembrano diventare tutt’uno fra loro.

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So che di recente hai subìto un bruttissimo infortunio al ginocchio: come è cambiato – se lo è – il tuo rapporto col corpo in seguito a questo doloroso incidente?

Fino ad aprile non avevo mai pensato che facendo ciò che amo avrei potuto “rompermi”. Una cosa che avevo sempre notato – e mai capito – era come uno sportivo reagiva con immediatezza e forza all’incombere di un infortunio. L’ho compreso solo la mattina successiva a quel salto di troppo, che mi è costato la rottura dei legamenti con i relativi mesi di stop. Aprendo gli occhi ti rendi conto di avere già chiara in testa la tabella di marcia  e che ti aspetta un’esperienza fatta di costanza e dedizione, in grado di insegnarti cosa vuol dire veramente lavorare con metodo.  Da tra mesi, quindi, passo ore ed ore tra fisioterapia, palestra e ghiaccio; perché la differenza non la fa l’operazione, ma la puoi fare solo tu. Si comincia con obiettivi semplici e facilmente raggiungibili, come dormire di fianco poi di pancia, per poi camminare, fare le scale e guidare. Ed ogni giorno ti vale una vita, in quanto i cambiamenti sono di settimana in settimana e sei tu che hai il metro migliore. Ora so, che c’è un momento in cui tutto sembra finire per poi ricominciare.  C’è una parte del tuo corpo più debole che va supportata  lavorando con tutte le altre componenti, per ricreare l’equilibrio precedente. Talvolta sono stanca di seguire ogni giorno la stessa routine di esercizi; ma mentre lo penso, mi rendo conto che ho quasi finito anche oggi e mi dico, per due volte, “brava Ilaria”.

Se dovessi dare un consiglio alle ragazzine che oggi approcciano al mondo del volley e dello sport in generale, cosa diresti loro?

Cercando di rispondere a questa domanda in modo efficace, continuo a cancellare e riscrivere: è difficile dire. Poi, individuo la costante: io. E parto da me. Ho trovato nello sport di squadra il modo per tirare fuori il meglio di me stessa, donandolo agli altri. Sono stata aiutata ed ho aiutato. Ho ascoltato racconti di vita negli spogliatoi, ho fatto mie quelle esperienze e a mia volta, ne ho raccontate. Ho imparato a mettere il bene collettivo, prima di quello individuale; che condividere è la prima cosa che fa di un bell’evento, un’esperienza di vita che non dimenticherai. Ecco, sono tornata a fare un elenco, che mi è servito però a capire cosa volevo effettivamente comunicare. Entusiasmo.

Trovate qualcosa che tiri fuori il meglio di voi e che divenga la vostra forza. Siate voi la forza del sistema a cui appartenete senza assistere passivamente agli eventi, ma siate voi il motore che accende e travolge, Solo in questo modo sarete veramente ciò che fate.

2 thoughts on “Il corpo in pratica: a dialogo con Ilaria Angelelli

  1. Lo sport per il corpo femminile è una pratica che libera molto anche emotivamente e provoca effetti positivi anche nel sentire vicino le proprie amiche atlete.L’esperienza professionale sportiva dovrebbe aiutare e contribuire a diffondere l’idea che lo sport migliora il corpo della donna e non lo rende simile a quello maschile,ancora spesso si sente dire:guarda quella tiene i muscoli e sembra un uomo.Io trovo che nella pallavolo c’è un salto considerevole di qualità,le ragazze sono oltre che belle anche brave,quello che noto è che solitamente le squadre sono quasi sempre allenate da allenatori maschi..indice che il livello di responsabilità è ancora i buona parte compito dei maschi???Grazie per l’articolo un saluto,Eliana Esposito

  2. Giustissima annotazione Eliana. Nella pallavolo femminile (almeno fino a quando io ne ho fatto parte), le squadre erano sempre o pressoché allenate da uomini. Non ne darei una “lettura di ruolo” stereotipa, però; nel senso.. non credo che il motivo per cui siano gli uomini ad allenare – nella pallavolo femminile – sia questione di cliché di genere inerentemente la responsabilità. Concerne più l’ottica del potere.
    Le ragazze che scendono nel rettangolo di gioco, hanno ruoli specifici e responsabilità differenti in base a tale ruolo; quindi il gioco aiuta nella costruzione della responsabilità e di un ruolo di responsabilità in campo, piuttosto che nella singola azione.

    Temo che sia più terra, terra la spiegazione di questo fenomeno: sostanzialmente fare l’allenatore è assurgere a ruolo di manager; anzi, c’è chi utilizza addirittura l’analogia del “comandante”. Ovvero, di colui che tiene le redini del gruppo. La struttura architettonica ( e quindi simbolica) della pallavolo è fortemente militarizzante; purtroppo c’è chi vede, ancora oggi, in questa gestione piramidale, qualcosa di connaturato – di per sé – al gioco della pallavolo.

    La pallavolo risulta apparire come un microcosmo del macrocosmo sociale: dove i ruoli di potere/dirigenziali sembrano fatti solo a misura di uomo.
    Per la cronaca, nella mia vita ho conosciuto solo una sola donna allenatrice nell’ambiente della pallavolo laziale. Una. Diciamo che a riflessione di genere l’arretratezza nell’ambiente è spaventosa quanto, circostanzialmente, ottusa.

    Fiammetta

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